Sembra incredibile che sia passato tanto tempo dall’ultimo articolo scritto qui, su questo blog, che di fatto è nido dei miei interessi e casa delle nostre comuni passioni.
Oggi ho deciso di sedermi e di scrivere un po’ di getto per fare il punto della situazione: per capire quali obiettivi personali di sostenibilità abbia conseguito e quali invece siano ancora sulla lista delle cose da fare.
Ma soprattutto per parlare della pressione che spesso e volentieri mi (e ci) attanaglia, del giudizio autoimposto che ci porta a pensare di non aver fatto abbastanza e che in gran parte dei casi conduce a una paralisi tale per cui sembra impossibile progredire nel percorso a basso impatto.
Eco-ansia: ne avete sentito parlare?
Questa particolare condizione è conosciuta come “eco-ansia”: una paura cronica della condizione ambientale, così come l’ha definita l’American Psychological Association (APA) nel 2017.
Preoccuparsi del nostro futuro e del destino delle prossime generazioni è segno di grande responsabilità ma può assumere un aspetto critico quando eccede certi limiti e rischia di sconfinare in una condizione patologica.
Per fare un esempio: ci sono tantissimi aspetti della nostra quotidianità sui quali abbiamo pieno controllo e nei confronti dei quali ci è realmente possibile mettere in atto il cambiamento. Lì possiamo e dobbiamo intervenire.
Questo tuttavia non significa che – per via dei nostri lavori, delle persone con cui viviamo o delle necessità di salute nostre o dei nostri cari – siamo in piena facoltà di fare sempre e solo la scelta migliore. E va bene così.
Questo non significa che i nostri sforzi siano inutili.
Come potete immaginare mi trovo molto spesso a ragionare su questi temi, a interrogarmi su quanto stia facendo e se sia ancora sulla strada giusta. E ogni volta che accade, penso a questo assunto:
Nessuno di noi può fare tutto da solo, ma tutti possiamo fare qualcosa insieme.
Modificare le proprie abitudini e rivedere i propri consumi in un’ottica più consapevole sembra un ostacolo insormontabile se cerchiamo di andare all-in. Tuttavia in questo modo dimentichiamo che il percorso nella sostenibilità deve essere, molto semplicemente, sostenibile.
Dobbiamo essere prontə a fare un passo alla volta: a documentarci e studiare, a tentare, a perdonarci l’errore e perfino sbagliare.
Ma dobbiamo anche e soprattutto sviluppare l’apertura mentale necessaria per allontanare il giudizio estremo, quello tossico che si erge a giudice assoluto e incontrastato dello stile di vita proprio e, per giunta, altrui.
Spoiler: la sostenibilità è un privilegio.
Il solo fatto di poterci permettere di fare una scelta deriva dalla capacità economica, sociale e culturale con la quale siamo venutə al mondo, cosa che resta un aspetto strettamente personale – e anche casuale, aggiungerei.
Prenderne atto è il primo passo per responsabilizzarci e iniziare ad agire anche per chi non è – temporaneamente o permanentemente – nelle condizioni di farlo.
Non tutti i cambiamenti devono essere drastici e immediati e credo che la cosa migliore sia approcciarsi a questo nuovo stile di vita con tutta la buona volontà e la voglia di mettersi in gioco possibile.
In fondo si tratta solo di rivedere un’abitudine alla volta partendo da un aspetto della propria quotidianità: magari la cosmesi, passando poi per la casa, l’abbigliamento, le abitudini alimentari.
La sostenibilità è un percorso per ciascunə di noi e nessunə di noi è mai arrivato davvero.
Rimboccandoci le maniche e unendo le nostre voci possiamo fare la differenza e possiamo farci ascoltare, non è (quasi) mai troppo tardi per invertire la rotta, basta volerlo davvero.
E voi cosa ne pensate?
Vi è mai capitato di avere l’impressione di non aver fatto abbastanza, di poter fare di più? Eravate al corrente della condizione particolare dell’eco-ansia e vi è mai accaduto di avvertirla voi stessə?
Mi farebbe piacere aprire una discussione: se ne avete piacere, fatemi sapere cosa ne pensate con un commento a questo post oppure sulle pagine Facebook e Instagram di Cogito Ergo Bio.
Vi abbraccio,